Sulla homepage del liceo scientifico Diaz di Caserta c'è uno spazio dedicato agli «Amici del liceo». Appena sotto la sfocata foto di gruppo vengono elencati gli obiettivi dell'associazione. Numero tre: «Commemorare e celebrare maestri ed allievi che si sono resi particolarmente benemeriti».
Roberto Saviano ha frequentato il liceo Diaz negli anni Novanta, ma non c'è alcuna traccia fisica e virtuale della sua presenza. Cinque anni di frequenza che moltiplicati per due milioni di copie di Gomorra fanno zero. Neanche una parola.
È dall'Istituto di via Ceccano che inizia «Saviano racconta Saviano», il video-racconto dello scrittore napoletano che andrà in onda stasera alle 21.10 su Current Tv. Lo speciale, realizzato da Federica Masin, arriva dopo una settimana densa di polemiche.
La lettera di Saviano uinviata al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che aveva accusato Gomorra di «supporto promozionale alle cosche», ha scatenato una catena di reazioni, a partire da Marina Berlusconi.
Il presidente Mondadori ha ricordato su «La Repubblica» come la casa editrice (che pubblica i libri di Saviano) abbia sempre assicurato la libertà di espressione dei suoi autori. Da lì decine d'interventi che da Segrate sono tornati in Parlamento con le dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini: «Non si può essere d'accordo con chi afferma che Saviano incrementa la camorra».
Mentre tutti discutono della lettera ue il contratto con la Mondadori – «Resta o lascia?» – entra tra i trending topics di Twitter, l'autore di La bellezza e l'inferno sceglie di parlare ancora. Questa volta da una camera d'albergo: la stanza numero 105, CV in numeri romani. Un curriculum vitae che attraversa luoghi e mememorie di un trentenne devoto solo al potere della parola.
Sguardo fisso nella camera, maglione nero e l'inseparabile anello all'indice destro che usa ogni tanto per appoggiare la testa.
Lo schermo che ha davanti è il touch-screen di un computer che contiene i «file» del suo passato. Come un attore che interpreta se stesso, Saviano si presta al gioco dello sfoglio: parla del liceo che non l'ha mai invitato per il disprezzo che colpisce «chi ha macchiato la propria terra», e partono le immagini della scuola che ( oltre la star del Grande Fratello Pietro Taricone) «ha sfornato diversi intellettuali da Francesco Piccolo ad Antonio Pascale», anche loro esclusi dalle stanze delle celebrazioni riservate agli ex studenti.
L'obiettivo torna sugli occhi malinconici e vivi dello scrittore. Dopo Caserta c'è Napoli con le strade dei quartieri, il porto, le vespe che corrono su ul Rettifilo. In sottofondo suona Sud degli Almamegretta, il gruppo che insieme a Pino Daniele e ai 99 Posse ha raccontato all'Italia la Napoli lontana dalla retorica di O' Sole mio.
Saviano cita la frase «Simmo ‘e Napule simmo ‘e n'atu munnoadd ò fernesce ‘o bene e s'accummencia a scava' ‘o funno » (Siamo di Napoli, di un altro mondo, da lì finisce il bene e si comincia a scavare il fondo), perché descrive il «fango che tiene tutti al palo da Caserta in giù».
Le immagini di Napoli lasciano lo spazio a quelle di Casal di Principe. «Tutta la mia vita cambia il 23 settembre 2006», dice l'intellettuale che è nato a Napoli «di sabato», da una madre professoressa di mineralogia che sognava per il figlio un futuro da chimico mentre il padre medico lo voleva «dottore».
Dal palco montato nella piazza del paese, davanti ai familiari dei boss, Saviano «fa i nomi» e invita la gente a ribellarsi. Emoziona la registrazione di quel discorso, i timidi applausi dalla folla al grido: «Respingiamoli. Qui non siete nessuno». Via con le riprese del paese «controllato» dai Casalesi: gli altarini della Madonna, le stazioni di benzina, le colate di cemento che si mischiano al latte delle mozzarelle di bufala «conosciute in tutto il mondo».
Nasce quel giorno una frase simbolo della lotta dello scrittore: «Verità e Potere non coincidono mai». Elenca di nuovo, con lo sguardo deciso e fermo, i nomi dei boss, uno a uno: Bardellino, Sandokan, Francesco Schiavone, Zagaria, Antonio Iovine. Come in una scena del film Minority Report, compaiono le loro foto.
Ma la vita di Saviano non è il film con cui Steven Spielberg ha fatto il pieno di Oscar nel 2003. Gli omicidi non si prevedono grazie a poteri extrasensoriali, ma si promettono. Da allora le condanne a morte, come la solidarietà della gente e della comunità internazionale d'intellettuali, arrivano puntuali come le stagioni. «Ogni informativa ha il sapore della sceneggiatura». Quel giorno comincia anche una domanda: «Come sarebbe stata la mia vita se non avessi fatto quel gesto?».
Parla della vita con la scorta, che lo accompagna dall'ottobre del 2006. Si sente un po' figlio dell'Arma dei Carabinieri, tanto che riesce a sognare solo quando dorme nell'auto blindata: «È come se andassi in barca» , dice sorridendo. Non è facile per Saviano raccontare com'è stare «sotto protezione»: «Vivi schiacciato tra due forze, una che ti ricorda che puoi morire e l'altra che ti dice che è tutta una grande operazione mediatica». Ma non ha paura di morire, «piuttosto di vivere così».
Gli autori di Current hanno scelto d'ispirarsi nell'ambientazione al documentario del 2008 «The Age of stupid», in cui il custode di un'arca racconta come il mondo si sia autodistrutto. Da qui la scelta del video - diario redatto nella stanza minuscola di un albergo. Saviano è consapevole che ci sono cose che non torneranno più, chiuse in archivio con l'etichetta nostalgia: una passeggiata, tornare indietro, fermarsi a una vetrina, mangiare un gelato al parco. «Capisci con questa esperienza che il percorso spesso è più importante dell'obiettivo».
Ricorda Giovanni Falcone, Don Peppe Diana, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Padre Puglisi, «non martiri, ma persone che sono state attaccate in vita e poi, in morte, diffamate». Vittime del «vocicchio e del pio-pio delle galline» e di campagne mediatiche che puntavano a delegittimarli. «Cerco da loro il modo per prevedere e cercare di capire come funzionano questi meccanismi». Sullo schermo ci ricordi dell'attentato fallito al giudice Falcone all'Addaura. «Il giorno dopo tutti dissero che se l'era fatto da solo», che era un modo per avere «più prestigio, più protezione, più interviste». Saviano ripete spesso una frase del giudice assassinato a Capaci il 23 maggio 1992: «La calunnia si distrugge da sola». A volte ha la tentazione di dire a tutti, a chi lo ama e a chi lo odia, «lasciatemi un pace», ma oltre la paura – «Io stesso mi sarei convinto che questo Saviano è un bluff» –, la diffidenza e la solitudine resta l'anima da combattente. La coltiva in una palestra di pugilato di Marcianise con l'amato allenatore Mimmo Brillantino, che gli ha insegnato a «stare davanti allo specchio e guardarti sempre».
«Devi guardarti come se non fossi tu, imparare a non riconoscere le tue dita, a non sentire il tuo corpo come sei abituato a fare. Solo così riesci a tenere una guardia d'istinto». E con le parole naturalmente.
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